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Corruzione: il fondamentale passaggio dall'atto alla funzione

Aggiornamento: 3 apr 2021

La Legge n. 3/2019 (cd. Legge Spazzacorrotti) è intervenuta con specifico riferimento ai reati contro la Pubblica Amministrazione, modificando alcune fattispecie e determinando l’aggravio dei trattamenti sanzionatori.

Tuttavia, in precedenza, la L. n. 190/2012 (cd. Legge Severino) aveva già introdotto una significativa innovazione nell’ambito della fattispecie di corruzione e, più di preciso, di quella che era rubricata “corruzione per un atto d’ufficio”, ex art. 318 c.p..

Se, prima della riforma del 2012, la corruzione contemplata dall’art. 318 c.p. si realizzava a fronte dell’accettazione di denaro o altra utilità per il compimento di un atto del proprio ufficio, successivamente si è parlato di esercizio delle funzioni o dei poteri, in senso più generale. La riforma operata con la Legge Severino è stata la conseguenza di una sorta di “rarefazione” (Espressione sapientemente utilizzata da M. Pelissero, I delitti di corruzione, in C. F. Grosso- M. Pelissero (a cura di), Trattato di diritto penale, I reati contro la pubblica amministrazione, Giuffrè, Milano, 2015, p. 287) dell’atto di ufficio, per cui si è ritenuto più opportuno, appunti, un riferimento all’esercizio della funzione nel suo complesso. Tanto più che dopo il 2012 è scomparso ogni riferimento al concetto di “retribuzione”, il quale avrebbe necessariamente presupposto che alla dazione o promessa di denaro del corruttore corrispondesse una controprestazione specifica, costituita dall’atto, determinato o determinabile, del soggetto qualificato, ossia del soggetto pubblico corrotto.

Passando dall’atto alla funzione, si è avuta certamente un’estensione dell’abito applicativo della fattispecie de qua, la quale, con la citata Legge cd. Spazzacorrotti, ha conosciuto un ulteriore inasprimento del trattamento sanzionatorio.

Nonostante le diverse e radicali riforme che hanno interessato l’art. 318 c.p., con la sentenza n. 1863/2021 , la Sez. VI della Corte di Cassazione ha riconosciuto un tratto di continuità tra la corruzione ex art. 328 c.p., precedente alla Legge cd. Severino e la corruzione per l’esercizio della funzione introdotta ex novo nel 1990.

Ciò, come ha analizzato la Corte, si deve alle elaborazioni del diritto vivente, che già prima della riforma avevano riconosciuto come non necessario, per l’integrazione del reato in discorso, l’individuazione di un atto specifico contrario ai doveri d’ufficio, come oggetto puntuale del mercimonio tra corrotto e corruttore, bastando un comportamento dell’agente pubblico volto a vanificare la funzione cui era deputato , violando i doveri di fedeltà e imparzialità ad essa inerenti.

I Supremi Giudici hanno svolto tale considerazione trovandosi a decidere circa un’ipotesi di corruzione che si era perfezionata prima dell’entrata in vigore della L. n. 190/2012 ma, essendo la corruzione un reato a condotta frazionata, si era consumata successivamente. La Corte in tale occasione ha ritenuto corretta, in ragione della continuità di cui si è detto, la riqualificazione del reato di corruzione propria (per l’esercizio di un atto d’ufficio) in corruzione funzionale che, appunto, è la corruzione per l’esercizio della funzione prevista dal riformulato art. 318 c.p..

La pronuncia in discorso dischiude un particolare interesse non tanto per la vicenda che in sé ha deciso quanto piuttosto per la ratio che è stata individuata a fondamento della norma. Ben si coglie dall’interpretazione estensiva, non limitata al singolo atto, come il bene giuridico tutelato dalla normai in questione sia costituito dall’insieme di valori fedeltà e imparzialità ai quali sono vincolati i pubblici funzionari, perciò si ricerca unicamente l’atteggiamento, in concreto, rivolto a vanificare la funzione demandata (in tal senso, già Corte Cass., Sez. VI, sentenza 24 febbraio 2007, n. 21192, Eliseo, in CED Cass., n. 236624).

L’allargamento del concetto di atto precedente rispetto alla riforma del 2012 -come riconosciuto dalla pronuncia della Corte di Cassazione nel 2021- ha comportato l’applicazione dell’art. 318 c.p. anche in caso di condotte costituenti nel dare o promettere denaro o altre utilità ad agenti pubblici in vista di atti futuri e imprecisati, purché finalizzati ad una sorta di duratura fidelizzazione (si parla di cd. messa a libro paga) dell’agente pubblico corrotto.

Ciò che emerge è allora il fondamentale passaggio, operato da parte del diritto vivente, dall’atto alla funzione (Tra le sentenze che già prima della Legge Severino hanno ricercato, al di là del compimento del singolo atto, condotte che evidenziano la violazione dei doveri di fedeltà e imparzialità, Corte Cass., Sez VI, sentenza 4 maggio 2006, in Cass. Pen., 2006, p. 3578).


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